Scritte assieme ad oltre 300 esperti di varie discipline, le proposte che seguono sono a disposizione di qualunque forza politica seriamente interessata a dare un futuro ai giovani di questo Paese.
PRINCIPI E OBIETTIVI
Cambiamo il sistema, non il clima.
La crisi climatica e ambientale è la diretta conseguenza di un sistema produttivo che sfrutta le risorse naturali, animali, umane. Ce ne rendiamo conto specialmente nei momenti in cui i problemi del nostro mondo diventano più evidenti, momenti come quello attuale.
La ripartenza post coronavirus non dovrà essere un semplice ritorno alla normalità. Le conseguenze della crisi climatica, già in atto, sfuggiranno al nostro controllo se non la affronteremo tempestivamente, elaborando e condividendo strategie di breve e lungo termine. Chiediamo alla politica italiana di predisporre un piano di programmazione economica che affronti insieme la crisi economica e la crisi climatica. Lo Stato deve guidare tutte le imprese del territorio nella transizione, con l’obiettivo di rispettare i target climatici degli Accordi di Parigi. Deve avviare una riconversione ecologica dell’intero sistema produttivo e sociale. Chiediamo ai vertici europei di rivedere il Green Deal, poiché è ancora ampiamente insufficiente. Chiediamo che l’Unione Europea superi il paradigma dell’austerità, poiché si è dimostrato un macigno per le economie e per le fasce più deboli dei popoli europei.
Una drastica riduzione delle emissioni è necessaria ORA e non sarà possibile ottenerla senza un importante intervento pubblico.
Nei paragrafi che seguono proponiamo delle linee guida verso la riconversione, suddivise per settori, scritte con il contributo di attivist*, movimenti, scienziat* ed economist*. Prima di esporre le specifiche misure settoriali, vogliamo chiarire i principi che crediamo debbano ispirare la ripartenza post coronavirus e la transizione ecologica. Vogliamo costruire un sistema economico e sociale che sia fondato sul benessere delle comunità e sulla tutela dei territori, della vita e della salute di tutt*. La campagna Ritorno al futuro è l’inizio di un percorso che intreccia proposte e idee di possibili soluzioni per accompagnare la nostra società verso quel cambiamento del sistema (e non del clima) rivendicato in tutto il mondo nelle battaglie portate avanti da movimenti come il nostro.
Il momento è adatto, le coscienze sono pronte, il tempo di agire è ora.
ATTRAVERSO LA CAMPAGNA #RITORNOALFUTURO, POTREMO:
Il modello economico attuale è all’origine dello sfruttamento delle risorse e dell’ambiente.
E’ necessario definire una politica economica che abbia come priorità la tutela dell’ambiente, del clima e della biodiversità, e che tenga conto delle esternalità negative degli investimenti in termini ambientali e sociali.
Il Mise dovrebbe guidare le aziende inquinanti alla riconversione, con l’obiettivo del graduale raggiungimento di una produzione a impatto zero. E’ necessario, e possibile, ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, innalzare il salario minimo, rafforzare la contrattazione collettiva. Più in generale lo Stato deve assicurare la piena occupazione. I diritti di tutt* i/le lavorator* devono essere riaffermati con decisione.
Da studenti e studentesse chiediamo un’istruzione che sia libera da interessi di privati e da paradigmi dannosi, per l’ambiente e per le persone.
E’ necessaria una riforma della didattica che stimoli il pensiero critico e il pensiero ecologico. L’educazione ambientale non può essere relegata a poche ore settimanali e la formazione agli insegnanti deve sfuggire al controllo di aziende inquinanti, come Eni. Chiediamo piuttosto un maggiore coinvolgimento di espert* e scienziat* nell’elaborazione della programmazione didattica. Chiediamo di interrompere qualsiasi tipo di collaborazione tra scuola, università, ricerca con aziende private estrattiviste che utilizzano i canali della formazione per legittimare il proprio modello di produzione. La creazione di una società nuova non può che iniziare dai luoghi della formazione.
Il Sud deve ricevere un piano di investimenti pubblici consistente, che gli permetta di dare una spinta al suo sistema produttivo in direzione sostenibile, tenendo conto delle potenzialità del suo territorio. Il divario infrastrutturale se non colmato causerà gravi diseguaglianze, dato che sarà proprio questa parte del paese a risentire dei danni ambientali più gravi, fomentando l’ostilità sociale.
La sanità pubblica, deve essere ampiamente rifinanziata e riorganizzata per garantire il diritto di tutt* alla salute. Come evidenziato da questo episodio pandemico è necessario strutturare piani emergenziali. Si rende quindi necessario un approfondimento e una sensibilizzazione del personale sanitario sulla “medicina dei disastri”.
Il sistema sanitario nazionale nei prossimi anni rischia uno stress eccessivo causato da un forte aumento di patologie collegate all’inquinamento, e a eventi di carattere catastrofico. Al carico delle patologie che impattano più a livello fisico, si andrà ad aggiungere un incremento delle patologie legate alla sfera psichica. Devono essere quindi attuate delle campagne di sensibilizzazione dei rischi e deve essere incoraggiata la costruzione di una rete di sostegno alla comunità, che permetta un alleggerimento delle conseguenze psicologiche causate dalla crisi climatica.
E’ ormai dimostrato che il mito del disaccoppiamento fra crescita economica e impatti ambientali non può guidare le scelte politiche. In tutti i casi è un processo solo relativo, temporaneo o localizzato, mai abbastanza rapido da ricondurre i flussi di materie prime ed energia nell’alveo della biocapacità planetaria. Un vero Green New Deal deve garantire un rientro in possesso, da parte dello Stato, delle leve di politica economica, per ripubblicizzare i servizi fondamentali e sottrarli alle logiche di mercato, orientare la riconversione delle imprese inquinanti e dell’agricoltura industriale. Tutto ciò non può prescindere da un importante aumento della spesa in deficit, una ristrutturazione del debito pubblico e dal sostegno vigoroso a un sistema di Welfare in grado di supportare i lavoratori e le lavoratrici.
Vista l’importanza sempre più marcata dell’energia e la sua classificazione come bene primario, è il momento di riconoscere l’energia come bene pubblico. La produzione e distribuzione dell’energia deve essere diffusa e partecipata dai cittadini. Le rinnovabili devono essere fortemente incentivate affinché si raggiunga l’indipendenza energetica nazionale.
Vanno realizzate politiche di Welfare che possano tutelare tutt*, sussidi ed erogazioni di servizi primari, anche sotto forma di reddito. La sanità pubblica, la scuola e l’università pubbliche devono essere sottratte alle logiche del mercato e ampiamente rifinanziate per garantire i diritti di tutt* alla salute e all’istruzione. Le voci di spesa pubblica in sostegno ai redditi devono essere sovvenzionate per garantire la dignità delle persone e permettere che non vi siano disuguaglianze di nessun tipo fra gruppi sociali.
La tassazione deve essere equa e più progressiva. Lo Stato deve impegnarsi a contrastare l’evasione fiscale. Si deve chiedere a livello europeo una tassazione delle grandi ricchezze, degli speculatori (una tobin tax, cioè una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo allo 0,1 %) e delle imprese inquinanti.
Deve essere istituita una carbon tax per i settori più impattanti (energia, trasporti e zootecnia) che non gravi sulle fasce deboli della popolazione e che distribuisca i suoi proventi riducendo altre tasse (per esempio sul lavoro), investendo in ulteriori azioni di mitigazione alla crisi climatica (agevolando le famiglie sotto un certo reddito, o indirettamente incentivando il trasporto pubblico gratuito).
Questa tassa deve essere affiancata da misure e finanziamenti che rendano più accessibili economicamente cibi sani, principalmente a base vegetale e prodotti in modo ecologico.
Bisogna rafforzare la produzione nazionale e arginare il potere delle grandi imprese multinazionali con una moratoria sugli accordi commerciali in essere e in fase negoziale.
Vanno aboliti strumenti di ricatto come l’arbitrato internazionale ISDS, che, nati per tutelare le discriminazioni degli Stati verso alcune imprese, sono diventati strumenti di ricatto internazionale delle multinazionali.
Consapevoli degli scarsi risultati raggiunti la cooperazione fra paesi va sganciata da meccanismi di scambio delle quote di emissione e va vincolata al rispetto dei diritti umani, degli ecosistemi e improntata al trasferimento gratuito di competenze, tecnologie e fondi fra Nord e Sud del mondo.
La transizione deve puntare alla creazione di un’economia compatibile con l’equilibrio degli ecosistemi. Il sistema produttivo dovrà essere fondato sulla filiera corta e sull’economia circolare. Deve esserci un cambiamento dell’organizzazione dell’economia e costruzione sociale attorno ad essa.
La produzione economica aggregata va ridotta e sostituita con attività legate alla riproduzione sociale e alla cura. La sfera dei servizi pubblici e dei beni comuni deve essere allargata per consentire alle persone di soddisfare i propri bisogni di base senza alti livelli di reddito e l’imperativo della crescita del PIL. Vanno implementate valutazioni complessive del benessere nazionale alternative, ad esempio basate sul BES (ristrutturando e implementando la cabina di regia nazionale)
Va riformato il sistema bancario, espandendo il ruolo delle banche pubbliche e restringendo il perimetro di agibilità delle banche di investimento. La Banca europea per gli investimenti deve abbandonare ogni finanziamento al gas, che non può essere considerato come soluzione alla crisi climatica.
Gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere non potranno ottenere una tutela effettiva, quindi non potranno essere giuridicamente garantiti, se non avverrà un riconoscimento costituzionale del “diritto all’ambiente sano” come diritto fondamentale. Chiediamo l’inserimento nella Costituzione del diritto alla tutela ambientale come diritto fondamentale alla preservazione degli ecosistemi, affinché siano tramandati intatti alle generazioni future, nel rispetto di quel patto intergenerazionale che è il cuore pulsante della nostra Carta fondamentale.
MISURE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA
La crisi climatica minaccia la vita umana sulla Terra, e i problemi ad essa collegati colpiscono la salute delle persone e l’economia. Non possiamo rimandare ulteriormente l’azione per contrastarla, come non possiamo più accettare che per i profitti di pochi vengano sacrificate la salute e la vita di molti.
Come affermato negli Accordi di Parigi, sottoscritti anche dal nostro Paese, è necessario agire “riconoscendo la necessità di una risposta efficace e progressiva all’urgente minaccia dei cambiamenti climatici sulla base delle migliori conoscenze scientifiche disponibili”.
Nella sola differenza tra 1,5°C e 2°C sono infatti a rischio milioni di vite: limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, rispetto a 2°C, potrebbe ridurre sia il numero di persone esposte ai rischi legati al clima che quelle a rischio di povertà di diverse centinaia di milioni di unità entro il 2050 (IPCC, SR1,5°C).
Per questo lo Stato deve realizzare azioni concrete che conducano ad una riduzione immediata delle emissioni di gas serra, definendo una strategia con obiettivi annuali, e con un monitoraggio costante dei progressi. Chiediamo che lo Stato avvii immediatamente una campagna informativa approfondita, sistematica e continua sulla gravità della crisi climatica ed ecologica in corso, perché non possiamo affrontare una minaccia se non la trattiamo come tale. Questa informazione, riguardante le cause della crisi climatica, le sue conseguenze, e le risposte necessarie e messe in campo per affrontarla, deve essere fondata sulla migliore scienza, intesa come insieme delle migliori conoscenze e tecnologie disponibili. Le azioni in questo campo devono essere capillari a ogni livello (Governo centrale, Regioni, Città metropolitane, Comuni), attivando tutte le istituzioni che possono essere coinvolte, i media e la scuola. In questo momento di crisi economica, il governo dovrebbe utilizzare i finanziamenti per intraprendere una ripartenza ecologica dell’economia e del lavoro, che ci porti verso l’unico futuro possibile: un futuro equo, giusto, vivibile. Non vogliamo tornare alla vecchia normalità, ma puntare ad una riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento, e quindi un miglioramento della salute dei cittadini.
Di seguito abbiamo raccolto linee guida e indicazioni per una piena riconversione ecologica, suddivise per settore per rendere più facile e comprensibile la lettura. E’ sempre importante tenere a mente che è necessario un approccio integrato che tenga conto di aspetti pratici, sociali, delle interconnessioni e interferenze tra i vari settori.
Introduzione
Nonostante la crisi economica degli ultimi anni, la produzione e il consumo di energia nel mondo sono in constante aumento. Le proiezioni sul consumo di energia primaria prevedono un aumento del 14,6 % al 2030 e del 25% al 2040, con il settore industriale che da solo assorbe circa la metà di questo consumo (Report 2018 AIE – Agenzia Internazionale dell’Energia).
Le risorse del nostro pianeta non reggono più il ritmo della produzione e del consumo che il sistema impone, non riescono più a rigenerarsi.
Secondo il rapporto BES dell’ISTAT del 2019 in Italia solo il 34,3% dell’energia elettrica viene prodotto da fonti rinnovabili. La crisi climatica è causata principalmente dall’utilizzo di combustibili fossili: per invertire la rotta ed evitare che la specie umana prosegua verso la sua estinzione, dobbiamo urgentemente azzerare le emissioni di CO2. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo dirigerci verso la completa decarbonizzazione del nostro sistema energetico e numerosi studi dimostrano che è possibile, che il fabbisogno di energia elettrica dell’Italia può essere ottenuto al 100% da fonti rinnovabili.
Uno studio dell’Università di Stanford ha calcolato che ⅔ dell’energia necessaria al nostro paese potrebbero essere forniti dal Sole e che la quota restante potrebbe essere prodotta dell’idroelettrico e dall’eolico.
Una delle maggiori sfide nella transizione energetica risiede nella capacità di gestire le fluttuazioni delle rinnovabili e provvedere allo storage dell’energia quando si hanno i picchi di produzione. Le infrastrutture di rete attuali non sono in grado di gestire queste situazioni e per questo sono fondamentali interventi di rafforzamento e trasformazione delle rete di distribuzione.
Il problema energetico può essere semplificato riducendo la domanda energetica e migliorando l’efficienza. L’edilizia è uno dei settori da cui deriva una grande domanda energetica poiché i nostri edifici sprecano molta energia, e soldi, perché non sono isolati termicamente in modo adeguato dall’ambiente esterno.
Linee guida
A fronte di quanto scritto chiediamo, come prime azioni concrete, di:
implementare a tappe serrate l’uscita totale dal carbone come fonte di produzione energetica entro il 2025;
adottare e implementare una road map adeguata per assicurare una riduzione delle emissioni di CO2 equivalente di almeno il 7,6% annuo, in particolare con investimenti su nuove tecnologie, come l’eolico offshore e il solare a concentrazione;
eliminare i sussidi pubblici alle fonti di energia fossili (16,8 miliardi di euro annui per l’Italia) e introdurre una tassazione sul carbonio;
promuovere un modello di generazione distribuita dell’energia per incentivare l’acquisto di impianti fotovoltaici domestici e la trasformazione delle reti attuali in smart-grid, per evitare grandi monopoli economici e azzerare le dispersioni dovute al trasporto di energia;
legare l’utilizzo dell’energia da biomasse a rigidi criteri di sostenibilità ambientale e sociale, limitandosi alle sole biomasse di scarto provenienti da filiere locali e solo a usi complementari a quelli ottenibili con altre rinnovabili;
accelerare la riqualificazione energetica tramite uno schema di incentivi, coibentare gli edifici pubblici e privati per ridurre drasticamente la domanda energetica rendendo obbligatoria la misura per gli edifici pubblici;
sostituire le stufe e gli impianti di condizionamento con impianti più moderni, efficienti e a controllo di emissioni.
Introduzione
Il settore dei trasporti è uno dei più emissivi a livello nazionale (ISPRA 295/2018): è fondamentale agire il più in fretta possibile e il più massicciamente possibile in questo ambito. A livello internazionale, la mobilità sostenibile ha preso da tempo in considerazione la via della multimodalità: integrare modelli di trasporto diversi e a basso impatto, una direzione ancora molto lontana dal modello diffuso in Italia.
Il sistema di trasporto pubblico in Italia è caratterizzato da gravi inefficienze, dall’insufficienza di sistemi di mobilità sostenibile e dal condizionamento prodotto dalla netta prevalenza che le politiche della mobilità, delle infrastrutture e dell’urbanistica hanno accordato ai di sistemi di trasporto su gomma, con preminenza dei veicoli privati anche per gli spostamenti quotidiani.
Le emissioni dei trasporti, oltre che essere tra le cause del riscaldamento globale, hanno un forte impatto negativo sulla qualità dell’aria nei centri urbani (smog), contribuendo alla diffusione di malattie e sindromi respiratorie e alla morte prematura di decine di migliaia di persone ogni anno – in particolare gli inquinanti non rivelati come le particelle ultrafini (0.1µm).
Linee guida
È indispensabile favorire un trasporto pubblico, condiviso, accessibile, sicuro dal punto di vista sanitario, sostenibile ed efficiente e alimentato da energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Il trasporto pubblico deve essere competitivo rispetto alla mobilità privata. E’ necessario limitare la mobilità privata, individuale e basata sui combustibili fossili. Favorire il trasporto su rotaia rispetto a quello su gomma a livello regionale, nazionale ed europeo, sia di persone sia di merci, limitando i trasporti aerei e navali. Lo smart working (o telelavoro) come strumento di adattamento a situazioni di crisi sanitarie e di mitigazione del cambiamento climatico va non solo reso possibile, ma anche promosso.
https://www.isprambiente.gov.it/files2018/pubblicazioni/rapporti/Rapporto_295_2018.pdf
Benché il sistema dei trasporti debba essere implementato con un approccio integrato presentiamo di seguito alcuni punti fondamentali divisi per settore.
PERSONE
Via terra:
implementare e facilitare la mobilità dolce e la micro mobilità (bici e piedi): continuare a finanziare bici a pedalata assistita per favorire tutte le persone e strutturare una fitta rete di piste ciclabili sicure, ampie, collegate e capillari. Dovranno essere rialzate rispetto al manto stradale per aumentare la sicurezza e il più possibile a senso unico di percorrenza. Il percorso delle piste deve essere lineare e favorito, sulla base dei modelli proposti dalle città che hanno una rete ciclabile sviluppata. Occorre, inoltre, incentivare le aziende a predisporre spogliatoi e docce per facilitare i dipendenti che usano la bici per andare a lavoro;
incentivare massicciamente il trasporto pubblico su rotaia a livello locale, regionale e nazionale, con tariffe agevolate per renderlo accessibile e accogliente verso l’eventuale presenza di biciclette a bordo;
introdurre la carta regionale e/o interregionale dei trasporti per favorire l’interscambio tra diversi mezzi di trasporto, con un prezzo agevolato per tutti;
azzerare il supplemento per il trasporto della bici in treno;
puntare alla gratuità del Trasporto Pubblico Locale; ove non è possibile creare una tariffazione in base al reddito. Incentivare l’utilizzo di app per agevolare e rendere più facile la fruizione del servizio
ottimizzare le risorse del trasporto pubblico aumentando le frequenze di passaggio dei mezzi pubblici, affinché diventino vantaggiosi e apprezzati dal pubblico, soprattutto nelle fasce orarie ad alto flusso; aumentare le corsie preferenziali; sfruttare le nuove tecnologie di precedenza semaforica;
incrementare tutte le forme di mobilità condivisa (car sharing con veicoli elettrici, bike sharing e car pooling);
costruire parcheggi scambiatori per il trasferimento di energia rinnovabile dal veicolo elettrico e potenziare l’infrastruttura di ricarica di veicoli elettrici a livello nazionale;
cambiare la struttura degli incentivi fiscali a livello di flotte aziendali per puntare sull’elettrico.
Via aria:
riduzione del trasporto aereo in favore del trasporto ferroviario, soprattutto per i voli a corto raggio;
investire sui trasporti ferroviari notturni e renderli più moderni e appetibili, anche per incontrare le esigenze del settore turistico
MERCI
Ripensare il commercio internazionale in un’ottica di compatibilità climatica. Ridurre i flussi di merci e materie prime che attraversano il pianeta a favore, il più possibile, di uno scambio su base nazionale e macroregionale piuttosto che intercontinentale. Varare una moratoria su tutti gli accordi commerciali internazionali, oggi tesi a una deregolamentazione selvaggia ai danni di ambiente, clima e diritti umani, finché non sarà rinegoziata una nuova strategia commerciale europea che abbia queste priorità.
Il trasporto delle merci deve avvenire il più possibile via rotaia.
Introduzione
Il turismo è un settore importantissimo per l’Italia, una delle destinazioni turistiche più note al mondo. Esso incide sull’8% del PIL, ed è responsabile del 6% delle emissioni di gas serra in Italia (ISTAT 2015, Conti integrati economici e ambientali del turismo).
L’impatto ambientale delle attività turistiche può essere ripartito tra un impatto diretto – conseguenza dell’antropizzazione del luogo, delle maggiori opere necessarie e della costruzione di strutture ricettive – e da molti impatti indiretti – come la modifica di alcuni ecosistemi, l’inquinamento delle risorse idriche e atmosferiche e la produzione di rifiuti.
Linee guida
A fronte di quanto scritto chiediamo, come prime azioni concrete, di:
sostenere le vacanze in Italia, coniugando il sostegno economico all’Italia in post-covid al sostegno ambientale (ad es. tramite sussidi per i turisti che fanno vacanze sostenibili e a breve distanza);
incentivare il turismo locale e sostenibile, e rilanciare i canali di turismo verde attraverso le certificazioni e marchi ambientali (Ecolabel, Travelife, AIAB, ICEA Eco Turismo, …);
rendere il turismo un fenomeno meno di massa e meno concentrato, incentivando la ridistribuzione della stagione turistica su più periodi, rispettando la capacità di carico turistica;
incentivare l’uso del treno per gite turistiche e soprattutto scolastiche;
estendere i pass turistici per il trasporto gratuito;
disincentivare e limitare le crociere.
Introduzione
Minori rese dei raccolti, minore sicurezza alimentare (ad alto rischio per un aumento di solo 1,5°C), minore disponibilità di acqua, perdita di vegetazione, minor accesso al cibo e maggiore erosione del suolo. Questi sono gli effetti, già in corso, della crisi climatica.
Questi cambiamenti si concretizzano in rischi per il sistema alimentare, la salute umana ed ecosistemica, i mezzi di sussistenza, il valore della terra.
Le azioni di mitigazione ed adattamento in questo campo pongono rischi legati soprattutto ai potenziali effetti collaterali delle misure scelte. Tuttavia le politiche che affrontano la povertà, il degrado del suolo e le emissioni di gas serra attuate in modo olistico possono affrontare ed evitare questi effetti collaterali.
L’impatto della filiera dei prodotti animali è enorme, a livello climatico come ecosistemico.
Anche gli sprechi di cibo sono fonte di emissioni, e sono inaccettabili quando parte della popolazione italiana patisce ancora la fame. Ogni anno in Italia vengono sprecate circa 1.6 mln di tonnellate di alimenti (equivalenti a 15 mld di euro).
Linee guida
Oltre un terzo del bilancio UE finanzia sussidi agricoli nell’ambito della PAC: questo denaro pubblico deve essere indirizzato verso lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile nei vari Paesi.
Il governo deve promuovere il passaggio a un sistema alimentare meno impattante, più locale, più trasparente e a base principalmente vegetale, disincentivando il consumo dei prodotti di origine animale e favorendo la riconversione delle aziende e il ricollocamento dei lavoratori e delle lavoratrici.
È vitale abbattere tutte le piaghe che caratterizzano il nostro sistema produttivo alimentare, a partire dal caporalato, una vera e propria forma di sfruttamento, continuando con il sovrautilizzo e l’inquinamento idrico, l’eutrofizzazione, la deforestazione e l’uso non sostenibile dei suoli.
A fronte di quanto scritto chiediamo di mettere in campo le seguenti azioni.
ALIMENTAZIONE
Per quanto riguarda l’alimentazione, chiediamo di:
finanziare progetti per azzerare gli sprechi alimentari;
diminuire il consumo di carne e derivati, a partire dalla modifica dei menù di mense scolastiche e aziendali.
AGRICOLTURA
In ambito agricolo, chiediamo di:
vietare le pratiche sleali della grande distribuzione organizzata che rischiano di comprimere i diritti del lavoro agricolo e bracciantile;
combattere il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori;
realizzare una progressiva eliminazione dell’utilizzo di pesticidi sintetici, e implementare le pratiche agroecologiche, favorire la lotta integrata, vietare il glifosato e i fertilizzanti basati sul fosforo, favorendo fertilizzanti biologici e organici;
orientare le scelte colturali verso specie e varietà adattate al territorio e al clima, adottando ove possibile produzione e uso di compost e biochar dai residui colturali per aumentare fertilità e carbon stock dei suoli
promuovere la creazione di orti condivisi nei grandi centri urbani;
sostenere l’agricoltura contadina e incoraggiare la filiera corta e i mercati locali in opposizione al sistema attuale della grande distribuzione organizzata;
favorire la nascita di politiche urbane del cibo per pianificare le filiere territoriali in maniera partecipata e inclusiva, che garantisca sostegno ai produttori locali e migliori l’accesso a un cibo sostenibile per i consumatori;
affidare tramite bandi comunali le terre pubbliche incolte ai giovani agricoltori che non hanno capitale sufficiente per l’acquisto ma vogliono praticare l’agroecologia;
riorientare i fondi della PAC, stabilendo come priorità tra i criteri di assegnazione dei fondi parametri di eco-compatibilità e smettendo di finanziare con soldi pubblici gli allevamenti intensivi;
promuovere una moratoria su tutti i trattati commerciali – a partire dal trattato Ue-Mercosur – che deregolamentano gli scambi nel settore agricolo, in ossequio al principio di precauzione;
provvedere affinché la proprietà intellettuale delle sementi sia condivisa;
favorire con finanziamenti pubblici la tutela della biodiversità disincentivando le monocolture;
favorire una giusta transizione attraverso misure premianti per i comportamenti virtuosi del settore produttivo e penalizzante altrimenti
SELVICOLTURA
Per quanto riguarda la selvicoltura, chiediamo di:
potenziare la gestione forestale sostenibile dei boschi italiani per diminuire la quantità di legno importato e responsabile di deforestazione tropicale;
aumentare la superficie forestale nelle aree urbane, periurbane e fluviali;
aumentare la superficie di foreste pianificate dal 18% ad almeno il 50% entro il 2030 privilegiando l’utilizzo di essenze arboree autoctone .
promuovere i sistemi agroforestali, per la loro capacità di integrare produzioni differenti e di mantenere meglio l’umidità nel sottobosco
ALLEVAMENTO E PESCA
Per quanto riguarda l’allevamento e la pesca, chiediamo di:
ridurre necessariamente e drasticamente la produzione e il consumo di prodotti di origine animale da allevamenti; senza un’azione di questo tipo nessuna soluzione tecnologica può infatti rendere sostenibile il sistema agroalimentare. Le istituzioni devono da subito incentivare e diffondere un’alimentazione più sana e davvero sostenibile, con strumenti economici e con attività di sensibilizzazione e informazione. Il beneficio non sarà solo ambientale e climatico, ma anche salutistico ed economico, con un minor peso sul sistema sanitario pubblico;
non creare più nuovi stabilimenti di allevamento intensivo, incoraggiare/provvedere alla chiusura di quelli attivi, elaborare un phase out del settore, privarlo dei fondi PAC e smettere di finanziare con soldi pubblici gli allevamenti intensivi;
imporre maggiori limitazioni alla pesca, per garantire la salvaguardia degli ecosistemi marini, e aumentare i controlli per impedire ogni operazione illegale;
applicare misure e finanziamenti per rendere economicamente più accessibili cibi sani, principalmente a base vegetale e prodotti in modo ecologico, che comporti anche la revisione delle categorie di beni primari e la relativa tassazione;
incentivare l’adozione e lo sviluppo di nuove certificazioni di sostenibilità nelle filiere agroalimentari, per creare un massiccio meccanismo di azioni Bottom-up per il controllo ambientale.
Introduzione
Del totale di acqua presente sul pianeta solo lo 0,6% circa è disponibile in laghi, fiumi e falde di acqua dolce, facilmente accessibili per l’uso umano. Ad oggi però le risorse idriche sono sempre meno disponibili e sempre più limitate: i più estesi sistemi di acque sotterranee al mondo sono in stato di sofferenza poiché sfruttati con una velocità maggiore rispetto a quella di rigenerazione, ed è stato stimato che entro il 2050 la “domanda” di acqua mondiale crescerà del 30% (Forum dei movimenti per l’acqua).
Secondo il quinto rapporto dell’IPCC per ogni aumento di un grado della temperatura globale un ulteriore 7% della popolazione mondiale vedrà diminuire la disponibilità idrica di un 20%.
Nella maggior parte dei casi il consumo eccessivo di risorse idriche è dovuto ad una cattiva gestione. Il problema sta nel ragionare secondo logiche antropocentriche ed economiche, e nella mancanza di un quadro che salvaguardi gli equilibri naturali in cui il sistema umano è inserito.
Ad oggi, si ha uno spreco elevato di risorse nel trattamento delle acque, molte reti idriche hanno bisogno di ristrutturazione, ed è necessario cambiare il sistema di gestione dell’acqua. La perdita giornaliera reale della rete di distribuzione dei comuni capoluoghi di provincia ammonta a circa 50 metri cubi per ciascun chilometro di rete, cioè un volume che soddisferebbe le esigenze idriche di 10,4 milioni di persone (rapporto ASVIS 2018).
Abbiamo problematiche diverse nelle varie regioni. Le regioni storicamente caratterizzate da carenza idrica e abituate a trovare soluzioni saranno avvantaggiate rispetto a regioni dove si è abituati ad una certa abbondanza della risorsa.
Per evitare che eventi estremi creino problemi di dissesto idrogeologico serve conservare acqua nei sistemi. Le dighe sono un buono strumento per trattenere l’acqua e agire da riserva a scala annuale o pluriennale, ma è importante che esse rispettino il deflusso minimo vitale (Decreto n. 30/STA del 13.02.2017) che deve essere garantito a valle delle captazioni idriche al fine di tutelare le condizioni di funzionalità e di qualità degli ecosistemi interessati.
Non c’è una sola zona dove l’acqua non sia sottoposta a pressioni sulla qualità che rendono difficile utilizzarla: non possiamo tralasciare il problema della qualità delle acque, superficiali e di falda, minacciata da scarichi non in regola o abusivi. In questo ambito è imperativo applicare i principi della Water Framework Directive (Direttiva 2000/60/CE, recepita dal D.Lgs 152/06); in particolare facendo riferimento al principio secondo il quale i limiti per gli scarichi concentrati e quindi il conseguente livello di trattamento (ad esempio degli impianti di depurazione) devono essere confrontati con il livello di qualità del corpo idrico ricettore (Stream Standard) secondo un bilancio globale di tutti gli inquinanti scaricati al suo interno.
Linee guida
Per cambiare rotta, oltre a ragionare in termini complessivi per appianare le disuguaglianze socio-ambientali che verranno altrimenti acuite, servono interventi per prevenire la carenza idrica su base nazionale. Questo obiettivo può essere conseguito con la ripubblicizzazione del servizio idrico, eliminando gli sprechi, riducendo ed efficientando i consumi, ponendo come garanzia fondamentale l’uscita da logiche di mercato – l’acqua è un bene comune – e favorendo la partecipazione popolare al servizio idrico integrato.
A fronte di quanto scritto chiediamo, come prime azioni concrete, di:
rendere pubblica la proprietà delle risorse idriche e degli acquedotti, le strutture di adduzione e distribuzione dell’acqua
sviluppare il verde urbano e la raccolta urbana delle acque piovane attraverso infrastrutture verdi (SuDS, vedi parte TUTELA DEL TERRITORIO), riducendo in questo modo anche il carico delle fogne;
intervenire sul dissesto idrogeologico con azioni focalizzate su erosione e conservazione del suolo e stendere un piano nazionale che lo implementi attraverso il sistema dei consorzi;
agire nel campo della prevenzione della carenza idrica e tutelare la qualità delle acque, attraverso chiare misure da inserire nei Piani di Tutela delle Acque (art.121 D.lgs. 152/06);
incentivare l’ammodernamento di impianti irrigazione e la realizzazione di reti duali;
sfruttare gli utili delle partecipate per la ristrutturazione reti;
efficientare il sistema di raccolta delle acque meteoriche in ambito urbano, per destinarle ad alcuni usi compatibili (es. lavaggio stradale, …);
incentivare l’acquisto domestico di sistemi di risparmio idrico.
Abolire le concessioni regionali alle imprese che imbottigliano alla fonte
Ripubblicizzare le fonti potabili, istituire una gestione regionale
Eliminare il limite del 40%di plastica riciclata per bottiglie
Incentivare la radicale transizione da bottiglie usa e getta di plastica non riciclata in bottiglie o di plastica riutilizzabili o di vetro o di altro materiale
Introduzione
Il modello nazionale di gestione dei rifiuti è caratterizzato da gravi inefficienze, nonostante la legge vigente (D.lgs 152/2006) abbia recepito sin dal 2011 la Direttiva Europea 98/2008, che contiene i principi per il corretto trattamento dei rifiuti. La gestione dei rifiuti dovrebbe avvenire, secondo la normativa europea e italiana, sulla base dei principi di prossimità e autosufficienza. Tuttavia la distribuzione di impianti per il trattamento dei rifiuti è molto disomogenea nel territorio italiano, con una maggiore concentrazione al nord e una condizione deficitaria nel centro-sud: questo in riferimento specialmente a impianti per il recupero di rifiuti speciali, quali ad esempio i RAEE, ma anche per impianti più comuni, come quelli per il trattamento della frazione umida.
Questo porta anche a un maggiore inquinamento per il trasporto dei rifiuti su lunghe tratte, che provoca danni all’ambiente e si ripercuote anche sulle tariffe pagate dai cittadini per il servizio.
Non si può più reggere un servizio rifiuti fondato sull’emergenza, è necessario e impellente passare a una reale pianificazione, che non prenda in considerazione soluzioni apparentemente “facili” – quali l’incenerimento – per far fronte ai problemi attuali, ma attui una vera gestione integrata dei rifiuti.
L’incenerimento è un trattamento ancora necessario per alcune frazioni di rifiuti speciali (tra cui quelli ospedalieri) e costituisce per questi ultimi l’unica opzione consolidata di trattamento finale. Ma continuare a finanziare e progettare la costruzione di inceneritori è anacronistico, viste le tendenze internazionali in questo campo, e contraddittorio, considerato che nel puntare ai nuovi obiettivi di riciclaggio comunitari (Direttiva 2018/852/Ue) ciò è sconveniente in pochi anni.
Linee guida
È necessario ribadire che il recupero di materia va sempre privilegiato rispetto al recupero di energia, nel rispetto della gerarchia stabilita dalle norme europee per gli interventi sui rifiuti, e soprattutto in un’ottica di passaggio progressivo verso un modello di economia circolare.
Le eccellenze italiane esistono, sia come sistemi di raccolta e gestione cittadina che permettono di raggiungere alte percentuali di raccolta differenziata, sia per quanto riguarda impianti e trattamenti innovativi, che consentono di recuperare una quantità maggiore o addirittura nuove frazioni del rifiuto. È imperativo diffondere le buone pratiche e investire sui trattamenti innovativi, adattando le soluzioni alle varie realtà territoriali.
Va sottolineato, inoltre, che per realizzare un modello di economia circolare bisogna agire a monte del settore dei rifiuti, sui beni di consumo, che devono essere progettati secondo i principi dell’ecodesign e in maniera da essere il più possibile riciclabili.
A fronte di quanto scritto chiediamo, come prime azioni concrete, di:
porre rimedio all’insufficienza impiantistica nella gestione dei rifiuti, per chiudere il ciclo dei rifiuti rispettando i principi di autosufficienza e prossimità, sbloccando autorizzazioni e incentivando impianti di trattamento biologico dell’umido, e selezione e riciclo dei materiali;
eliminare completamente i sussidi diretti e indiretti all’incenerimento, formulando una exit strategy dall’incenerimento e puntando su trattamenti alternativi e innovativi
stabilire una tassazione degli imballaggi proporzionale all’impronta carbonica della loro produzione, incentivando d’altra parte la riduzione generale degli imballaggi attraverso iniziative del CONAI;
dare un vantaggio economico competitivo alle materie seconde;
uniformare l’adozione di sacchetti e contenitori per la raccolta adatti a ciascuna frazione, per ridurre le impurità negli impianti di trattamento;
promuovere delle filiere locali di riutilizzo del vetro, sostituendo con il vetro a rendere (e non a perdere) il massiccio utilizzo di materie plastiche nel settore delle bevande, non affrontato nella Direttiva sulla plastica usa e getta;
disincentivare maggiormente l’utilizzo di plastica mediante tassazioni o incentivi alla sua sostituzione con altri materiali, e supportare azioni di recupero dei rifiuti plastici dagli ecosistemi marini, al fine di tutelarli e arginare il problema del marine litter e delle microplastiche;
incentivare i negozi di prodotti sfusi e i lavori artigianali;
procedere con l’emanazione del D.M. sull’End of Waste;
non produrre più materiali non riciclabili, investendo su materiali alternativi ecocompatibili ;
puntare su un riciclo di qualità (ad esempio distinguendo vetro e plastica a seconda del loro colore) per invogliare al riutilizzo dei materiali riciclati
implementare l’urban mining che segua filiere ecocompatibili dal punto di vista ambientale, sociale e sanitario
investire in impianti per il recupero di materia e produzione di MPS (Materia Prima Secondaria)
Introduzione
Da un punto di vista paesaggistico l’Italia è amata ed invidiata: si può definire una culla di bellezza, storia e biodiversità, ma non di minore fragilità. Saper amministrare con giudizio un territorio così complesso come quello italiano significa innanzitutto imparare a conoscerlo, non solo da un punto di vista politico ma anche geologico.
La crisi climatica aumenta la frequenza di precipitazioni violente e di alluvioni, seguite da periodi siccitosi. Il suolo italiano è costituito da rilievi giovani, colline e montagne particolarmente erodibili e sedimenti non sufficientemente consolidati.
Il rischio sismico è molto elevato e le frane sono il motore principale di formazione del paesaggio. Il paese è circondato da mari caldi che incrementano il rischio di precipitazioni intense e i suoi bacini fluviali sono troppo antropizzati per riuscire a contenerle senza danni.
Il danno di queste eventualità viene amplificato dall’elevata densità di popolazione che caratterizza l’Italia.
A livello urbano la crescente urbanizzazione ed impermeabilizzazione dei suoli congiuntamente all’aumento di frequenza di piogge eccezionali (e non) causa un rapido raggiungimento dei picchi di piena delle fognature e l’esondazione di corpi idrici in cui le reti scaricano, riflussi ed allagamenti ma anche una minor efficienza di impianti di depurazione a servizio di fognature miste.
Dal dopoguerra ad oggi, le dinamiche territoriali in Italia infatti hanno condotto non solo ad una percentuale di suolo artificiale dell’86,83% (ISPRA, 2019) sul totale di suolo utile, ma anche ad un suo evidente stato di degrado: erosione, inquinamento degli strati superficiali e profondi, distruzione del manto vegetale, perdita di biodiversità.
Prevenire gli esiti catastrofici della crisi climatica implica operare a livello territoriale secondo una visione integrata (non settorializzata) tra la componente urbana, naturale e agricola. Tutte concorrono in modo sinergico a rendere resiliente il contesto in cui abitiamo.
Linee guida
L’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile della UN contiene due Sustainable Development Goals (SDG’s) che riguardano il consumo di suolo. Il SDG 11 (target 11-3) “Inclusive and sustainable urbanization” e il SDG 15 (target 15-3) “End of desertification and restored degraded land”. Per l’Italia è indispensabile perseguire tali SDG’s adottando l’obiettivo Bilancio Zero per il consumo di suolo e anticipandolo al 2025, che significa non solo limitare al massimo il consumo di nuovo suolo a fini urbani e infrastrutturali, ma anche provvedere a compensare ogni consumo di nuovo suolo con la rigenerazione, in misura corrispondente, di suoli degradati, urbanizzazioni dismesse, suoli inquinati o soggetti ad erosione accelerata. L’Italia ha urgente bisogno di una cura del suolo che – utilizzando strumenti diversi quali bonifiche di aree dismesse o di siti contaminati, rinaturalizzazioni, regolamentazioni degli usi, forestazione urbana, demolizione di manufatti dismessi, interventi di adattamento climatico – porti progressivamente dopo il 2025 ad un bilancio negativo del consumo di suolo, avviando la contrazione dell’impronta urbana e valorizzando in particolare i servizi ecosistemici degli habitat più rari e ricchi di biodiversità.
Non è da tralasciare il ruolo dei sistemi di preannuncio e di allertamento (Early Warning System, EWS), per la gestione in tempo reale delle varie tipologie di rischio, che sono azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, essenziali per la riduzione del rischio “residuo”. Bisogna tener conto, infatti, che le Azioni Strutturali di riduzione del rischio, non sono propriamente in grado di azzerare il rischio e richiedono dei tempi di realizzazione non indifferenti.
Infine non va dimenticata la lotta agli incendi, non solo forestali, che distruggono gli stock di carbonio degli ecosistemi, danneggiano l’economia agricola e forestale, aggravano i processi di desertificazione e il dissesto idrogeologico.
A fronte di quanto scritto chiediamo, come prime azioni concrete, di:
non concedere nuove occupazioni di suolo fino a quando in un territorio ci sono aree già coperte e impermeabilizzate non utilizzate;
concentrare le risorse sulla demolizione di manufatti dismessi e bonifica delle aree e non costruzioni ex novo, soprattutto nelle zone a rischio;
effettuare analisi di vulnerabilità e ricollocazione delle infrastrutture a rischio (per frane, alluvioni, incendi, terremoti) e un’analisi di ricognizione nazionale delle foreste che svolgono funzione protettiva incentivando la loro cura con fondi pubblici come da modello svizzero;
rendere concreto, mediante una legge specifica, il punto “creazione foreste urbane” del Decreto Clima in modo da poter procedere alla loro realizzazione, mediante progetti che siano affidati ad enti specializzati, utilizzando specie autoctone e più efficaci nel sequestro della CO2;
educare al rischio i cittadini e le amministrazioni;
promuovere l’adozione di soluzioni SuDS (Sustainable Drainage Systems) a livello urbano locale, con l’obiettivo di gestire le acque di pioggia ricadenti in aree urbane in modo da riequilibrare il bilancio idrologico e ridurre il carico inquinante dei corpi idrici, permettendo alle città di comportarsi come le cosiddette città spugna;
potenziare la lotta antincendio privilegiando gli interventi di prevenzione ed estendendoli anche alle aree non forestali e non produttive
Il mondo della scienza
Ecco le professoresse e i professori che hanno contribuito alla stesura dell’allegato!